«[il tempo] È l’iscrizione in un tempo cronometrico determinato, di un più o meno grande numero di unità» (Boulez 1963 “pensare la musica oggi”, pp. 62-63).
La parola chiave, diversamente da quanto si potrebbe presumere, non è “tempo crono- metrico”, bensì unità. ….
Il tempo del cronometro, che per convenzione e abitudine viene chiamato semplicemente “tempo” nella nostra quotidianità, non è, per amor del vero, tempo, ma spazio.
Il tempo cronometrico di cui si occupa Boulez, invece, funge semplicemente da matrice: è un tempo cronometrico speciale che esclude la sussunzione in sé delle singole unità ivi inscritte, ponendosi, ciò malgrado, come il loro proprio elemento di misurabilità. Il segreto riposa in quelle che Boulez chiama, appunto, unità.
In altre parole, ogni unità di tempo contiene in sé sola la legge mediante cui il tempo si configura.
Per Boulez, il tempo corrisponde alla germinazione di unità complesse numericamente scandite. Ciò è significativo del fatto che ciascuna opera crea il suo tempo.
(Manuel Mazzucchin)i
Un’accurata analisi del concetto di tempo ci porterebbe a parlare di temporalità dell’esperienza anziché di esperienza della temporalità (cfr. Piana 2007, pp. 122-124
cronopoiesi
La scansione numerica che Boulez ritiene di mantenere come paradigma della misurazione, e lo vedremo nello specifico, è sempre innervata dalla struttura relazionale degli eventi sonori che presiedono alla temporalità complessiva dell’opera.